Il 12 Maggio sarà celebrata la Giornata Mondiale della Stanchezza Cronica, il cui simbolo è rappresentato da un fiocchetto blu. Questa giornata è stata istituita per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa rara patologia, misconosciuta dai più, ma fortemente invalidante per chi ne è affetto.
Comunemente, una condizione di stanchezza è un sintomo, cui ognuno di noi ha la propria risposta individuale in tempi variabili, ma che generalmente, dopo un adeguato riposo, ci restituisce alle condizioni ”normali” precedenti l’insorgenza dello stato di malessere. Spesso è solo un sintomo che spinge dal medico, il quale può verificare se alla base ci possa essere uno stato di stress psicofisico, una depressione, oppure una patologia organica quale l’ipotiroidismo, il diabete, un tumore o una malattia infettiva.
Niente di tutto questo riguarda la sindrome da stanchezza cronica, che si manifesta con una sintomatologia completamente diversa, non inquadrabile nelle patologie citate, con una gamma di disturbi legati a più malattie, per cui la diagnosi non può che essere fatta per esclusione. Non si hanno valori ematici alterati o una prova di laboratorio che possa essere utilizzata come indicatore diagnostico. Non esistono apparecchiature strumentali in grado di “misurare” la fatica, parametro di per sé soggettivo al pari della percezione del dolore.
Il paziente è “soltanto” stanco. Stanco come può esserlo una persona reduce da un lavoro manuale pesante. Affaticato per una stanchezza che non passa nè diminuisce anche dopo una notte di riposo.
All’astenia profonda si affiancano spesso dolorabilità diffusa agli arti e alle fasce muscolari, cefalea, febbricola, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, infiammazioni alla gola e linfonodi.
Questi disturbi possono insorgere anche separatamente e vengono spesso interpretati dal medico come disturbi della sfera psichica, generici stati depressivi o ipocondriaci.
E’ stato riscontrato che gli stati depressivi sono invece secondari, conseguenti allo stato di malessere diffuso, in cui il paziente riferisce di sentirsi “come dopo uno stato influenzale”. L’insorgenza della malattia è subdola ma improvvisa, quasi sempre dopo uno stato infettivo o un tumore o un forte choc come, ad esempio, un lutto. Si manifesta maggiormente tra la popolazione femminile, tra i 20 e i 50 anni di età, anche se è stato segnalato qualche sporadico caso nell’infanzia. Si è calcolato che in Italia 200-300mila persone siano affetti da questa sindrome, una cifra significativa, anche in senso sociale, qualora si metta in relazione con le ridotte capacità lavorative di chi ne è colpito e con il frequente assenteismo che necessariamente ne consegue. Purtroppo, ancor oggi, a fronte di migliaia di studi condotti un po’ovunque nel mondo, molti non conoscono affatto questa sindrome; in particolare, i medici. Anche se già dagli anni ottanta del secolo scorso si tentava di inquadrarne la sintomatologia, i criteri per una diagnosi di sindrome da fatica cronica sono stati codificati negli Stati Uniti, ad Atlanta, solo nel dicembre 1994 da un gruppo di studio internazionale, che ne ha anche stabilito la definizione in CFS (Chronicle Fatigue Sindrome), poi divulgata sugli Annals of Internal Medicine.
Fonte: www.scienze-naturali.it