Metti in gabbia le fratture

Metti in gabbia le fratture

Dal 1980 Enrico Castaman, Primario del reparto di Ortopedia a Montecchio Maggiore (VI), ha applicato fissatori esterni in migliaia di casi, soprattutto nella traumatologia d’urgenza ma anche per correggere gravi deformità scheletriche, usando un apparecchio personalmente progettato tra il ’78 e l’83 e tutt’ora largamente diffuso.

A cura di Giovanni Cacia
Intervista all’inventore del Fissatore Polivalente di Castaman

UNA MECCANICA MODERNA NATA DALL’ESPERIENZA
Sono passati molti anni ma il metodo è ancora moderno. Anche oggi, molte fratture richiedono “fissatori esterni”, apparecchi “appesi da fuori” sull’osso grazie a perni metallici che formano una specie di gabbia che lo dominano e tutelano, restando intanto sempre accessibili per gesti correttivi. Con quest’impostazione i fissatori consentono di agire in ogni momento sui monconi e sui frammenti delle fratture, così da manovrarli e assestarli senza ulteriori interventi, e lasciando libero l’arto per carichi e movimenti. È infatti nota l’importanza del movimento precoce che incrementa il callo osseo e il processo di riparazione che da esso dipende, inducendo una guarigione più rapida e sicura rispetto a quella ottenibile da tradizionali sistemi inerti come l’apparecchio gessato. “Gli stimoli meccanici protagonisti nel promuovere e favorire la crescita ossea sono la trazione, per esempio, che produce rigenerazione in allungamento, così come la compressione che genera una saldatura diretta – spiega l’esperto. – Nelle fratture l’obiettivo principale è far crescere tessuto riparativo abbondante e completarlo solidamente. Quindi, in una continua ricerca di provvedimenti utili a questi fini – continua Castaman – ho fatto tesoro delle esperienze di maestri italiani e di tanti Paesi esteri: dal professor Giovanni De Bastiani dell’Università di Verona, al medico siberiano Gabriel Abramovic Ilizarov che, con intuizioni brillanti e particolare impegno, hanno storicamente affermato e dimostrato che il tessuto osseo riparativo si forma soprattutto sulla base di sollecitazioni fisiche che giungono ai capi di frattura dagli ambiti circostanti. I micromovimenti che essi inducono all’interno del focolaio rappresentano la via naturale della guarigione, la procedura più diretta ed efficiente in quanto selezionatasi come espediente di successo nell’epocale sviluppo degli esseri viventi”.

QUEL PARTICOLARE MOVIMENTO CHE GUARISCE LE FRATTURE
“Dai primordi, gli organismi hanno imparato a trattare le proprie fratture conservando, subito dopo il trauma, almeno quel minimo di autonomia gestuale e locomotoria che potesse garantire, pena l’estinzione, l’autodifesa e la ricerca alimentare – afferma Castaman. – In pratica, le fratture guariscono “muovendosi”, ma solo se il movimento risponde a particolari caratteristiche. Infatti, il dolore è il segnale di appropriatezza o esagerazione del gesto, ed è sempre il rispetto del dolore a guidare le buone modalità del percorso ripartivo. Ne derivano, secondo l’esperto, comportamenti curativi spontanei in cui la limitazione, e non l’abolizione del movimento, sono la risposta vincente. “Le fratture, infatti, si sono adattate a ricongiungersi in tali regimi di lentezza e cautela motoria, essendo il riposo assoluto vietato dalle leggi della sopravvivenza, e consolidano quindi non solo “nonostante” i movimenti, ma “grazie” ad essi – sottolinea il Primario di Montecchio Maggiore. – I fissatori esterni si rifanno a questo protocollo prezioso, regolando e dirigendo opportunamente gli stimoli provenienti dalle varie prestazioni funzionali”.

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