Siamo abituati a vederlo scendere in campo in situazioni difficili, quando l’anatomia è complicata e ogni altra soluzione sembra preclusa. Tra quelli del suo calibro si può considerare “una vecchia guardia”, ma nonostante l’età, da oltre 20 anni risolve situazioni ”disperate” senza bisogno di particolari modifiche. Il protagonista è il cotile a fittone (stelo) iliaco di MC Minn che nelle revisioni protesiche è capace, da solo, di rimediare a situazioni dove altre metodiche costringerebbero a complicati assemblaggi di osso, viti, cemento e augment di varia natura, con costi e tempi chirurgici notevoli e dubbia stabilità dell’impianto nel lungo periodo.
A cura di Liana Zorzi, intervista a Renzo Bianchi, ex direttore della U.O. di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Feltre (BL)
Il cotile MC Minn è dunque indicato soprattutto nei reimpianti, ma è utile anche nell’artrosi post-traumatica o conseguente ad una displasia congenita dell’anca, in tutti quei casi cioè dove la forma dell’acetabolo si presenti così alterata da non garantire ad un cotile emisferico la stabilità primaria, se non mediante l’aggiunta di ulteriori elementi.Scegliere una protesi d’anca piuttosto che un’altra è una questione di ‘affinità elettiva’ per il chirurgo e di indicazione per il paziente. Spesso, quella che è una protesi eccezionale per uno può avere dei punti deboli per un altro soprattutto quando si tratta di un reimpianto, ovvero di una protesi che deve andare a sostituirne una già esistente, che crea disconfort al paziente. “Quello che conta in un intervento di reimpianto è scegliere la protesi giusta per il problema specifico di quel paziente” spiega il dottor Renzo Bianchi, ex direttore della U.O. di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Feltre (BL). “Per chi come me nasce traumatologo e sviluppa una dimensione tridimensionale del bacino, è naturale trovare affinità con un cotile come il Mc Minn che permette di dare una soluzioni di qualità oltre che nei reimpianti, in casi particolari come l’artrosi post traumatica o ancora l’artrosi che insorge come conseguenza di una “displasia congenita dell’anca” continua il traumatologo. “Il fatto che la protesi si mantenga stabile senza l’uso di cemento e viti, è importante per poter letteralmente ‘mettere in piedi’ il paziente subito dopo l’intervento, fattore fondamentale affinchè il paziente riprenda la propria vita nel più breve tempo possibile.”
SOSTITUIRE LA PROTESI D’ANCA È ANCORA UN PROBLEMA?
Fino all’inizio del 2000, i pazienti che andavano incontro a una revisione protesica – l’intervento di sostituzione di una protesi già esistente – spesso restavano a letto 2 o 3 mesi per evitare il carico del peso corporeo sulla protesi. “I problemi che ne conseguivano erano innumerevoli, soprattutto perché, in genere, si trattava di pazienti anziani” continua il dottor Bianchi. “Riabilitazione e convalescenza erano molto lunghe e passava molto tempo prima che il paziente potesse tornare a camminare”. Oggi invece, grazie alla stabilità primaria data dal fittone conficcato nell’osso iliaco , è possibile ridare autonomia immediata anche a un paziente sottoposto a un intervento di reimpianto. Poter caricare il peso immediatamente è inoltre condizione indispensabile per stimolare la riabilitazione di eventuali innesti ossei che, sottratti al carico, sarebbero destinati a riassorbirsi, come spesso accade con altre metodiche che non consentono il carico immediato, afferma Bianchi. Ciò significa che per un paziente doversi sottoporre ad un intervento di sostituzione di protesi sarà, né più né meno, che subire un intervento di impianto primario. E non è cosa di poco conto.
INDICAZIONI E CONSIGLI PER IL PAZIENTE
Quando un paziente portatore di protesi d’anca inizia ad accusare un dolore inguinale camminando o muovendo l’articolazione dell’anca, conviene che si affretti ad eseguire una radiografia di controllo e si rechi dal proprio ortopedico di fiducia.
E’ probabile che lo specialista richieda ulteriori approfondimenti, esami del sangue e soprattutto una scintigrafia, per documentare una eventuale mobilizzazione di una o entrambe le componenti protesiche (cotile: dolore all’inguine, stelo: dolore di coscia). Gli esami potranno anche rivelare se la mobilizzazione è accompagnata o meno da infezione.
“Mentre in caso di artrosi primaria è il paziente che dovrebbe richiedere al medico di sottoporsi all’intervento perché soffre e ha una vita di relazione che non è più quella che lui vorrebbe” spiega l’ortopedico, “in caso di mobilizzazione è il medico che deve convincere il paziente a sottoporsi ad intervento di sostituzione al più presto possibile, onde limitare i danni che una protesi che si muove crea all’osso che la contiene e ai tessuti circostanti” spiega Bianchi. In pratica, meno si aspetta, minore sarà la perdita di osso e più semplice sarà per il chirurgo sostituire la protesi.
Ottenuto il consenso del paziente all’intervento, il medico ha il compito di scegliere la giusta strategia chirurgica, cioè la protesi più adatta per quel tipo di paziente e per il tipo di problema che presenta, sempre con l’intento, se possibile, di restituire al più presto il paziente alla sua vita normale.
Dopo l’intervento, sia esso un primo impianto o una revisione, compito del paziente è impegnarsi per il recupero che varia in base a molteplici fattori: età, patologie correlate, genere, motivazione… “Negli impianti dopo aver tolto i drenaggi, riprendere a comminare è un fatto personale più che un fatto di ginnastica” dichiara Bianchi. “Talvolta le donne sono più motivate degli uomini perché sentono l’urgenza di dover tornare ad occuparsi della famiglia, della casa, dei nipoti.” Ad ogni modo, tutti gli esperti sono concordi nel dire che la riabilitazione è importante anche per superare la paura dell’intervento: infatti, inizialmente il timore di caricare sull’arto protesizzato induce il paziente ad evitare movimenti che invece può benissimo sostenere. “Si tratta di riprendere fiducia ”conclude l’esperto “perché, su quest’argomento, ogni ortopedico ha da raccontare decine di storie di pazienti che, dopo un intervento di protesi, corrono maratone, vanno a cavallo, saltano a piè pari, fanno trekking, ballano. Insomma riprendono la vita di prima”.
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