Lesioni ai flessori, prevenirli è meglio ma non è certo

I traumi ai muscoli flessori sono tra gli infortuni più comuni per il gruppo muscolare della coscia, tanto che la FA, la Federazione Calcistica inglese, ha quantificato nel 12% la percentuale di questo tipo di lesioni sul totale degli infortuni subìti dai calciatori inglesi nelle ultime due stagioni sportive. Per quanto riguarda l’atletica leggera, invece, uno studio curato da Drezner nel 2003 ha evidenziato che questi infortuni hanno addirittura il primato di frequenza tra gli atleti che si cimentano nelle discipline velocistiche.

A cura di Andrea Ghezzi


COME CI SI INFORTUNA
Contratture, stiramenti o strappi sono all’ordine del giorno per tutti i calciatori, ma anche per chi in generale corre, e rappresentano un rischio serio. Dalla lesione di primo grado, che interessa soltanto il 5% delle fibre muscolari, si arriva infatti al terzo grado, dove il ventre muscolare viene completamente lacerato. Ma come si creano questi infortuni? In molti casi, sono dovuti a una serie di micro-traumi apparentemente silenti, che sommandosi arrivano a un livello tale da far esplodere il problema in maniera fragorosa. E questi micro-traumi, sembra incredibile, possono generarsi semplicemente con falcate troppo ampie o cambi di passo troppo repentini. In generale, infatti, gli infortuni alla muscolatura flessoria della coscia sono ricorrenti nelle attività e pratiche sportive che prevedono con particolare frequenza sprint, accelerazioni, decelerazioni, rapidi cambi di direzione e salti. Come se non bastasse, uno studio di Orchard e Seward del 2002 ha inoltre dimostrato che per questo tipo di incidenti esiste un’altissima frequenza di recidiva: le ricadute possono arrivare a una percentuale vicina al 34% nell’ambito dello stesso anno.

…E PERCHÈ!
Gli hamstring muscles o muscoli flessori sono composti da un’altissima percentuale di fibre a contrazione rapida, e ciò comporta un fattore di rischio intrinseco alle lesioni muscolari. Non a caso, secondo alcuni autori, gli atleti di origine afro-caraibica, avendo geneticamente un maggior percentuale di fibre rapide rispetto a quelli di origine caucasica sarebbero più soggetti a questi tipi di infortuni. Talvolta sono causati da scarso allenamento, spesso da eccessivo affaticamento ma anche da un riscaldamento inadeguato prima dell’attività. Anche componenti “strutturali” come l’asimmetria degli arti inferiori o un’eccessiva lordosi lombare possono concorrere all’insorgenza del problema.

PREVENIRE È MEGLIO, MA NON È CERTO
Sebbene i ricercatori inglesi Goldman e Jones non abbiano evidenziato miglioramenti significativi tra chi si sottopone a pratiche che prevengano questo tipo di incidenti e chi no, altre fonti sostengono che esistano alcuni rimedi: prima di tutto un buon riscaldamento prima dell’attività fisica, comprensivo soprattutto di esercizi di stretching da effettuarsi anche a fine allenamento, ovviamente con un abbigliamento adeguato al clima. Importante poi non sottovalutare mai i sintomi, essere razionali nelle autovalutazioni delle proprie condizioni e non fare finta di nulla se si sente qualche “dolorino”. Inoltre, il taping kinesiologico (il nastro adesivo elastico di vari colori che gli sportivi applicano sul corpo per migliorare la “posizione” del muscolo e favorire la circolazione) è stato riscontrato come sistema di buona efficacia sia negli allenamenti che nella riabilitazione, anche se il metodo che ha ricevuto più riconoscimenti è il “nordic hamstring exercise” che consiste nel porsi in ginocchio con i polpacci bloccati da un’altra persona; “sporgersi” infine in avanti mantenendo colonna e bacino in linea fra loro fino a raggiungere un’angolazione del ginocchio di circa 30°. Con buona pace di Goldman e Jones, in questo caso tentar non nuoce.

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