Per l’Italia i numeri sono alti, ma in genere in linea con quelli degli altri Paesi occidentali.
Le diverse malattie degenerative articolari hanno una frequenza che varia anche in base all’origine etnica ed è quindi comprensibile che nei diversi Paesi le percentuali possano variare. “Per esempio la patologia degenerativa artrosica è leggermente più frequente nell’Europa meridionale, mentre quella di tipo flogistico-degenerativo, per esempio, l’artrite reumatoide, è leggermente più frequente nel mondo anglosassone. E ancora, la patologia degenerativa post-traumatica è più frequente nei maschi, mentre quella idiopatica – che non ha cioè una causa nota – è più frequente in persone di sesso femminile” chiarisce il professor Giorgio Turi, specialista in Ortopedia e Traumatologia e oggi coordinatore scientifico del Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia della Clinica Codivilla Putti di Cortina.
Rimanendo nell’ambito delle percentuali, in Italia siamo di fronte a un alto numero di sostituzioni protesiche articolari, ma questi valori non si allontanano molto da quelli riscontrati in altri Paesi occidentali.
A cura di Redazione Orthopedika Journal
INTERVENTO SICURO, BASSA LA PERCENTUALE DI FALLIMENTO
Per quanto riguarda le percentuali di successo, il professor Turi ci tiene a precisare che affermare che l’intervento di protesi d’anca sia a fallimento zero non corrisponde esattamente a verità ed è un’affermazione molto pericolosa. “In effetti si tratta di un intervento che nel 97-98% dei casi offre un buon risultato e in un’alta percentuale di pazienti la protesi ‘sopravvive’ a dieci anni, tuttavia possono verificarsi complicanze e/o eventi avversi che compromettono il risultato”.
Tra questi il più temibile è senza dubbio l’insorgenza di infezioni, che può verificarsi nell’1-2 % dei casi anche se tutto è stato fatto secondo quanto previsto in termini di prevenzione del problema. Esiste poi l’insuccesso occasionale imprevisto, che si verifica in ogni tipo di chirurgia e può essere legato al chirurgo (protesi posizionata male) o alla reattività biologica del paziente (la cosiddetta “protesi dolorosa”).
“Il dolore su un’anca operata bene e per il quale non si individua una causa documentabile e documentata, deve indurre sempre a escludere la presenza di una infezione latente, cioè un’infezione presente anche se non si manifesta nella forma clinica classica” dice Turi. “È vero però che esistono protesi dolorose in cui non è possibile riconoscere alcuna causa oggettiva responsabile del dolore”. Anche in questi casi più complessi, l’esperienza dello specialista e la serietà del centro possono fare la differenza.
© Orthopedika Journal