Nata per alleviare il dolore nei malati di artrite reumatoide, la protesi di gomito è diventata uno strumento usato anche in caso di artrosi di gomito o fratture. Le indicazioni però sono specifiche e per questo è un intervento raro praticato solo presso pochi centri specializzati. Abbiamo intervistato Andrea Miti, Primario del reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre, uno dei massimi esperti italiani di patologie del gomito.
Perché la protesi di gomito è un intervento così raro?
Nonostante materiali e tecnologie innovative, dopo un intervento di protesi di gomito il paziente soffre di una limitazione di tipo funzionale che non permette il sollevamento di più di 3-5kg. Basti pensare che, con una protesi di gomito, si fatica a sollevare un bimbo piccolo, per esempio, oppure le buste della spesa o le confezioni dell’acqua. Per questo si tende a ritardare il più possibile, soprattutto nei pazienti giovani. I candidati sono per lo più over65 sia che si tratti di artrosi sia di fratture non riparabili in alcun modo. Quando infatti, si perde il sostegno dell’articolazione da parte dell’omero l’unica soluzione è la protesi.
Nei pazienti giovani, invece, quando viene a mancare la parte trocleare, quella parte rigida da contrapporre all’ulna, oppure in presenza di fratture esposte con perdita di sostanza, non ci sono alternative alla protesi.
Quali criteri determinano la scelta della protesi?
L’età del paziente è senza dubbio un primo criterio. In soggetti giovani, e per permettere loro di arrivare al momento della protesi totale qualora necessaria, si possono usare emiartroprotesi, cioè protesi convertibili, che sostituiscono solo la paletta omerale dell’omero distale. Infatti, l’emiartroprotesi permette una maggiore attività fisica rispetto alla protesi totale e per un giovane è, senza dubbio, più adatta. Le indicazioni, però, sono precise e restrittive dal punto di vista anatomico: per questo non sempre è possibile impiantare una emiartroprotesi che di fatto è un intervento raro. Infatti, devono essere integri o riparabili i legamenti e il capitello radiale. Inoltre, questo tipo di intervento richiede un po’ di attenzione nella mobilizzazione e riabilitazione post-operatoria. Invece, in tutti gli altri casi, cioè quando non è possibile riparare i legamenti, le protesi usate sono le semivincolate, ovvero protesi totali con una cerniera che le unisce e permette un movimento accessorio di circa 7 gradi sul piano frontale per evitare un’eccessiva sollecitazione allo stelo all’interno dell’omero e dell’ulna. Nelle artriti degenerative, che presentano strutture legamentose integre o riparabili, invece, le protesi non vincolate, che richiedono una grande stabilità, sono le più indicate.
A cura della Redazione
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