Biotecnologie, un vestito su misura

Se ne parla in tutti i congressi. Le biotecnologie stanno finalmente prendendo un posto di rilievo anche nelle discussioni dei più importanti congressi dedicati all’ortopedia e traumatologia. Se i primi studi clinici italiani condotti presso Istituti di ricerca come il San Raffaele di Milano, hanno ricevuto prestigiosi premi internazionali,  l’esperienza di ospedali più piccoli non sono meno degni di nota. È il caso dell’Ospedale di Rovereto (TN) che, con una lunga esperienza di successi nei trapianti della cartilagine del ginocchio, ha organizzato il secondo meeting italiano sulle biotecnologie, il primo che parla specificatamente di lesioni osteocartilaginee del ginocchio. Organizzato da Michele Malavolta e Andrea Cescatti, il primo responsabile dell’area ginocchio dell’ospedale di Rovereto e il secondo responsabile dell’area spalla dello stesso ospedale, con la direzione di Paolo Dorigotti, Direttore del Reparto di ortopedia dell’Ospedale di Rovereto e Araldo Causero, Direttore della Clinica Ortopedica dell’Università di Udine, dal confronto dei lavori presentati è emersa la necessità di nuovi studi e dati che aiutino a orientare la corretta indicazione all’uso delle biotecnologie.

UN FUTURO SEMPRE PIÙ PROSSIMO

“La frontiera delle biotecnologie presenta ancora molti aspetti da risolvere – spiega Michele Malavolta, moderatore del Convegno di Riva del Garda. – In primo luogo, dall’esperienza di oltre 6 anni di trapianti di cartilagine effettuati con successo nel nostro ospedale, abbiamo imparato che ogni intervento va costruito come un abito su misura intorno al paziente. Quindi, l’indicazione clinica ovvero saper riconoscere la lesione a cui è adatta una particolare tecnica chirurgica e l’uso di scaffold ‘intelligenti’ oppure di cellule staminali o ancora dei più recenti fattori di crescita, è importante per poter ottenere i risultati che noi ortopedici ci aspettiamo dalle biotecnologie – continua l’esperto di Rovereto. – Anche la scelta del paziente determina il successo dell’intervento e la qualità della vita del paziente; infatti, i migliori risultati si ottengono su pazienti che hanno una biologia attiva, fino a 40-45 anni, con lesioni poco estese e non degenerative. Inoltre – conclude Michele Malavolta – dopo gli interventi è necessario che il chirurgo motivi il paziente a fare i controlli post operatori che permettono la valutazione dei risultati nel lungo periodo. Dal confronto delle esperienze durante i congressi, mettendo a disposizione dei colleghi i risultati ottenuti nel medio e lungo periodo, saremo in grado di trovare finalmente le linee guida per l’utilizzo di questi importanti dispositivi. A tutto beneficio del paziente.”

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