Anca, quando la protesi risolve l’artrosi

Anca, quando la protesi risolve l’artrosi

Complice l’aumento dell’età media degli italiani e, di conseguenza, l’incidenza delle patologie correlate alla degenerazione articolare, l’intervento di protesi d’anca è tra i più richiesti dai pazienti. Il professor Giorgio Turi del Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Vicenza ci aiuta a fare chiarezza tra indicazioni, rischi, riabilitazione e benefici.
“L’indicazione all’intervento di artroprotesi d’anca – spiega Giorgio Turi – non ha un’indicazione assoluta: dipende dalla capacità dell’ammalato di convivere con il suo problema, a volte molto invalidante e rappresentato da dolore costante, intenso e da impotenza funzionale articolare che può portare, se non si interviene, a un grave disagio motorio. In tal caso l’indicazione può diventare assoluta (ovvero l’intervento diventa necessario), come quando il paziente, a causa di altre patologie, cardiache, polmonari, o di altra natura, ha necessità di muoversi e ne è impedito dal problema articolare”.

A cura di Giovanni Cacia, intervista il professor Giorgio Turi.

Proprio perché l’intervento non ha un’indicazione assoluta, le terapie conservative possono rappresentare, temporaneamente e soltanto nelle fasi iniziali della malattia, una alternativa al trattamento chirurgico. “Tra le terapie conservative, per esempio, trovano indicazione la riabilitazione, la terapia farmacologica e, a volte, il trattamento con infiltrazioni di acido ialuronico, componente della cartilagine articolare. Esiste però una storia naturale della patologia che difficilmente può essere condizionata da trattamenti di tipo conservativo – afferma l’esperto. – Certamente tali terapie sono efficaci a rallentare l’aggravamento della malattia, forse anche a procrastinare l’intervento, ma il paziente dovrà sapere che non sono risolutive”.

DIETA, CONTROLLO DELLO STILE DI VITA E ATTIVITÀ FISICA TRA LE TERAPIE CONSERVATIVE
“Non ingrassare e magari provare a dimagrire è importante per rallentare la velocità di evoluzione della malattia – dichiara il professore. – Basti pensare all’evoluzione della malattia in un soggetto che sovraccarica l’articolazione con un peso importante rispetto a chi, avendo la stessa patologia articolare, è magro. I consigli che diamo a chi decide di non affrontare l’intervento chirurgico subito, vanno sia nella direzione del controllo del peso attraverso la dieta sia dell’attività fisica purché questa non rappresenti un motivo di ulteriore stress per le articolazioni. Ad esempio, se un paziente ama andare in bicicletta, è meglio che faccia 30 km su un terreno piano rispetto a 10km in salita” conclude il chirurgo.

ARRIVARE ALL’INTERVENTO FA MENO PAURA CHE IN PASSATO
“Esistono differenti tipi di protesi – continua Giorgio Turi. – Già da qualche anno stanno prendendo piede protesi più piccole che risparmiano una maggiore porzione di osso femorale. Scegliendo questo tipo di protesi, l’ortopedico deve essere sicuro che il paziente non sia affetto da osteoporosi. Infatti, in caso di presenza di rarefazione ossea, il paziente ha bisogno di un altro tipo di protesi che abbia una superficie di contatto con l’osso maggiore rispetto a quella mini-invasiva delle protesi più piccole”. Nel 5-10% dei casi, il paziente può essere giovane e l’indicazione all’intervento può essere rappresentata dagli esiti gravi e invalidanti di un incidente traumatico pregresso. “In questo caso, la tipologia di protesi dipende dall’entità del danno subito, in particolare da quanto è conservata la morfologia dell’articolazione dopo il trauma. Se la morfologia dell’anca, per esempio, è abbastanza conservata, si può usare anche una mini-invasiva o una protesi di rivestimento. Quest’ultima, rispetto alle protesi mini invasive, non è consigliabile nelle donne soprattutto dopo una certa età, per la possibilità di insorgenza dell’osteoporosi del collo femorale che, pertanto, diventerebbe una zona di minore resistenza.

A QUALE ETÀ È INDICATO L’INTERVENTO DI ARTROPROTESI?
Genericamente l’intervento di protesi d’anca è indicato in pazienti di oltre 60 anni anche se, come sottolinea il professor Turi, è stato superato il concetto che la protesi debba essere applicata da una certa età in poi perché l’indicazione all’intervento dipende non tanto dall’età anagrafica del paziente ma da quella biologica, cioè dalla qualità dell’osso, dagli stili di vita e dall’ambiente in cui il paziente vive.

DOPO L’INTERVENTO, LE POSSIBILITÀ DI STAR BENE SONO MOLTO ELEVATE (96-98%).
“Soltanto il 2-4% può presentare problemi di carattere locale e/o generale, spesso correlati a patologie già esistenti (diabete, patologie cardiovascolari, ecc.). In questo 4% rientrano anche le protesi dolorose, talvolta messe in relazione (ma non necessariamente lo sono) con un’infezione latente, spesso a insorgenza subdola. L’infezione incide per una percentuale molto piccola pari a circa 1%; nonostante la profilassi antibiotica e qualsivoglia precauzione in sala operatoria, può capitare che si verifichino infezioni post-chirurgiche – spiega Giorgio Turi. – Sono sempre meno frequenti ma la possibilità è sempre presente.”

DOPO L’INTERVENTO STAMPELLE, NESSUNA FRETTA DI RECUPERO IMMEDIATO, MA SOPRATTUTTO NON ESAGERARE NELLA TERAPIA RIABILITATIVA.
“In linea di massima, ritengo che dopo l’intervento il paziente debba rimanere a letto per 1-2 giorni se non se la sente di alzarsi immediatamente. Dipende dalla reattività del paziente: alcuni vanno stimolati, altri vanno frenati. In ogni caso, la terapia riabilitativa, di solito standardizzata, deve essere praticata con scrupolo prima di riprendere le abitudini quotidiane. Anche lo sport non è sconsigliato ma dipende dal tipo di sport: certamente non il calcio che è uno sport da contatto; non la corsa, perché ogni volta che l’articolazione viene sollecitata in sovraccarico lo stress a cui viene sottoposta è importante e può risultare dannoso per la protesi. Quindi, via libera a bici, nuoto, sci soprattutto per gli sciatori esperti. Insomma, quanto più impegnativo per quella articolazione è lo sport meno è consigliato. Se poi per il paziente è importante, e si sente di farlo…”

© Orthopedika Journal

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