Alluce valgo: tecniche chirurgiche a confronto

Alluce valgo: tecniche chirurgiche a confronto

L’alluce valgo è una patologia a eziologia multifattoriale per la quale nessuno dei 200 approcci chirurgici si è ancora dimostrato essere superiore agli altri. Il confronto è soprattutto tra tecnica tradizionale e approccio mini-invasivo.

A cura di Irene Butta
Intervista a Dottor Stefano Santini, Dirigente di 1° livello dell’ Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale “S. Bortolo” di Vicenza

TRATTAMENTO MINI-INVASIVO VS TECNICHE A CIELO APERTO
Per il trattamento chirurgico dell’alluce valgo esistono numerose metodiche alcune delle quali sono spesso solo varianti di una tecnica maggiore. Le tecniche maggiormente impiegate possono essere distinte in metodiche mini-invasive e a “cielo aperto”.
Nelle prime la cicatrice chirurgica è lunga circa 1 cm. Attraverso questa mini-incisione con piccoli strumenti motorizzati si eseguono i tagli dell’osso per la correzione. La stabilizzazione viene quindi affidata ad un filo metallico (paragonabile ad un piccolo spiedino) introdotto nel dito e che si lascia all’esterno per circa mezzo centimetro. Questo filo metallico viene rimosso dopo 4 settimane in ambulatorio e senza alcun dolore (è paragonabile alla rimozione di un punto di sutura) (Figura 1).
In alcune varianti la stabilizzazione viene affidata solamente ad un bendaggio senza addirittura introdurre alcun mezzo di sintesi metallico.

Figura 1: Uomo, alluce valgo bilaterale con immagine clinica prima dell’intervento, immagine clinica a 4 settimane prima della rimozione del filo di Kirschner, immagine clinica del controllo dopo 3 mesi dall’intervento.

Le metodiche a “cielo aperto” prevedono una incisione sul lato interno dell’alluce lunga circa 5 cm. I tagli dell’osso vengono eseguiti sotto diretto controllo della vista e poi stabilizzati con una piccola vite in titanio (come i perni dei denti) che viene lasciata in sede e che non è necessario rimuovere.
I tempi di guarigione e di recupero sono sovrapponibili tra tutte le metodiche: sono necessarie sempre 4 settimane e non esiste attualmente una tecnica che permette di guarire in tempi più veloci.

QUALE TECNICA SCEGLIERE?
Dipende dal tipo di alluce e dal paziente di fronte al quale ci troviamo. Devono essere considerati parametri quali:
-età del paziente,
-gravità della deformità,
-presenza di deformità ad altre dita del piede (dita a martello, in griffe, cross-over) (figura 2 e 3),
-condizioni della cute
-qualità dell’osso,
-richieste estetiche da parte del paziente.
Generalmente in pazienti più giovani con deformità meno evidenti si preferisce una metodica percutanea mentre in pazienti meno giovani, con deformità più marcate e con coinvolgimento di più dita del piede, si preferisce una tecnica più tradizionale.

Figura 2: Donna, piede sinistro, grave deformità prima e dopo l’intervento al 1° e 2° dito con tecnica a “cielo aperto”

Figura 3: Uomo, piede destro, grave deformità prima e dopo l’intervento al 1° e 2° dito con tecnica a “cielo aperto”.

E DOPO L’INTERVENTO?
Nel periodo post-operatorio il paziente deve utilizzare per 4 settimane una calzatura con scarico dell’avampiede (Figura 5) con la quale può camminare già dal giorno dopo l’intervento. Si tratta di una calzatura che permette di camminare senza appoggiare la parte anteriore del piede. Durante il primo mese inoltre viene eseguita una medicazione intermedia per la rimozione dei punti di sutura. La mobilizzazione dell’alluce inizia da subito con piccoli movimenti che esegue il paziente stesso con i propri muscoli o accompagnando il dito con le mani.
Trascorse 4 settimane si esegue un controllo radiografico del piede e di regola si abbandona la calzatura con scarico dell’avampiede.
Nel mese successivo infine è necessario utilizzare un tutore che funzioni come divaricatore per l’alluce e che abbia anche una azione compressiva per contrastare il gonfiore di tutto il piede che talvolta accompagna per alcune settimane il decorso clinico (Figura 4).

Figura 4: Tutore Eusave Eumedica

Figura 5. Tutore con scarico avampiede

© Orthopedika Journal

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